I Social ci rendono conformisti?

L’effetto di Internet sulla “spirale del silenzio”

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  1. Ankh
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    CITAZIONE
    I Social ci rendono conformisti?
    La risposta nello studio di Pew Research Center


    Social media, come Twitter e Facebook, avrebbero l’effetto di scoraggiare la diversità di opinione e “soffocare” il dibattito sulle questioni pubblico/politiche e renderebbero le persone meno disposte a dare voce alle proprie opinioni, specialmente quando si pensa che potrebbero essere diverse da quelli della propria rete di riferimento. A riportare i dati è un nuovo studio di Pew Research Center, ”Social media and the “Spiral of Silence” che con la Rutgers University, ha condotto un’ analisi su 1.801 americani nel 2013 in occasione di un fatto che ha spaccato l’opinione pubblica Usa: le prime rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza dell’NSA su e-mail e telefoni americani.

    Molte le evidenze emerse dalla ricerca che ha cercato di indagare l’effetto di Internet sulla cosiddetta “spirale del silenzio”, teoria elaborata da Noelle Neumann, secondo cui le persone sono meno disposte ad esprimere la propria opinione se credono che queste siano diverse da quelle della loro rete di riferimento. Il loro “silenzio” finirebbe poi per fa aumentare la percezione collettiva di una diversa opinione della maggioranza, rinforzando, di conseguenza, in un processo dinamico, il silenzio di chi si crede minoranza.

    Va sottolineato, e lo fanno anche i ricercatori stessi, che l’analisi è stata condotta su un tema molto specifico e non sarebbe corretto generalizzare. Eppure i dati sono egualmente interessanti perchè rivelano dei pattern di comportamento sui social media di cui molti di noi hanno fatto esperienza diretta.

    - Le persone si sono dichiarate meno disposte a discutere del caso Snowden-NSA sui social media che di persona: solo il 42% era disposto a twittare o postare un parere sulla vicenda su Facebook e Twitter contro un 86% disposto a fare la stessa cosa offline.



    - I social media non sono si sono rivelate piattaforme alternative di discussione per chi non voleva discutere del caso Snowden. Del 14% delle persone che non erano disposte a parlarne “in real” con altri, solo lo 0,3%, quindi nessuno, ne avrebbe parlato sui social media. Dato che contraddirebbe molte delle “credenze” sulla rete vista come grande risorsa per le persone che altrimenti non si sarebbero espresse diversamente in presenza di altri.

    - Sia online che offline le persone si sono dimostrate più propense a condividere i loro pareri sul caso Snowden solo con audience che si ritenevano in accordo con i propri punti di vista. Per esempio a lavoro chi sentiva di avere colleghi con visioni “affini” sul caso NSA erano tre volte più propensi a prendere parte a conversazioni sul tema. In altre parole la logica della “spirale del silenzio” si sarebbe attivata in pieno anche sui social: chi avvertiva che sulla sua rete di amicizie su Facebook avrebbe potuto trovare un terreno di “accordo” con le proprie opinioni sul topic Snowden – NSA, erano due volte più disposti a discuterne sui social. “Questo suggerisce” spiegano i ricercatori che “che una spirale di silenzio potrebbe tracimare dai contesti online a quelli di persona” ma i dati presentati al momento non possono dimostrare definitivamente questa causalità.


    - Gli utenti regolari di Facebook e Twitter erano meno disposti a condividere le loro opinioni in situazioni faccia a faccia. Questo è vero soprattutto se essi pensavano che i membri delle loro reti sarebbero potuti essere in disaccordo.

    I social in America starebbero quasi contribuendo, secondo il WSJ, alla “polarizzazione” dell’opinione pubblica poichè le persone si circonderebbero di amici che la pensano come loro rinunciando ad esprimere pareri diversi. Un meccanismo, spiegano, che gli stessi social alimenterebbero grazie a specifici algoritmi che suggeriscono contenuti di persone cui si è simili per interessi. “Le persone sono meno disposte a esprimere opinioni ed essere esposte a pareri opposti, ed è questa esposizione che ci piacerebbe vedere in una democrazia.” spiega Keith N. Hampton uno degli autori dello studio.

    fonte:techeconomy.it/2014/08/27/i-social-ci-rendono-conformisi-risposta-nello-studio-pew-research-center/

    Voi cosa ne pensate?
     
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  2. Anice Stellato
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    Non saprei, io sinceramente non riscontro tanto questa cosa per quel che mi riguarda. Twitter si può dire che non lo frequento, ma su FB scrivo quel che mi pare e piace e spesso si sono innescate vere e proprie discussioni riguardo a qualche mio pensiero che evidentemente andava contro la morale comune.
    Sottolineo anche il fatto che anche se mi trovo di persona con qualcuno non mi tiro indietro se c'è da discutere, quindi per me il web non costituisce una maschera.
     
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  3. (elettrica)
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    Usandoli per motivi di lavoro, ossia per condividere gli articoli che pubblichiamo, sinceramente riscontro tutt'altro: soprattutto su determinati argomenti si scatenano veri e propri dibattiti di pro e contro determinati temi. Per certi articoli si leggono anche 50 commenti, e il dibattito non manca mai...
     
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  4. -[Evil]-
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    In effetti è complicato...
    Condivido le osservazioni di elettrica, e l'articolo fa giustamente notare che in esame è stato preso un argomento molto specifico, ma non solo: si trattava di discutere della sorveglianza che ha NSA sui mezzi di comunicazione. E di discuterne attraverso i mezzi di comunicazione. Insomma, è un'accoppiata bizzarra, io avrei scelto un argomento completamente differente. Però in effetti non sono molte le discussioni su cui le persone possano avere una loro opinione, causa ignoranza. In ogni caso, se devo generalizzare, do ragione ad elettrica. Sul web si discute molto e molto animatamente, sia sui social che su blog di vario genere. Le dinamiche della così detta "spirale del silenzio" sono interessanti, però penso che il problema non sia tanto il possibile disaccordo, ma il modo in cui crediamo che gli altri potrebbero reagire a questo disaccordo. Perché se quest'ultimo fosse costruttivo e ci fosse non una "battaglia", ma uno "scambio" di opinioni, non si porrebbe il problema. Purtroppo però quasi sempre il tutto si riduce ad uno sterile flame, ad attacchi verso l'altro che arrivano fin nel personale. Emarginazione. E' questo che riduce al silenzio, non il disaccordo. Emarginazione ma anche, sostanzialmente, semplice ignoranza. Facile dire la tua su "leggono le mie e-mail". Il problema è quando ti viene chiesto di esprimere un'opinione su quanto sta accadendo in Israele o sulla crisi economica (in modo oggettivo) ed altri argomenti di attualità che presuppongono un minimo di cultura. Per questo credo che, nella maggior parte dei casi, esista una spirale di silenzio non perché le persone abbiano paura di parlare. Ma perché non hanno niente da dire. Vale sia online che offline.
     
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3 replies since 28/8/2014, 18:46   38 views
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