Faraway, so close. Tutti pazzi per l’alta cucina thai

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  1. Lizy.Luminos
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    Faraway, so close. Così lontana, così amata eppure in buona parte sconosciuta, la cucina thailandese è in realtà molto più vicina di quanto si pensi alle tradizioni gastronomiche italiane. È un ponte tra culture diverse, si esprime in molte varianti regionali e fa un consapevole uso di prodotti freschi e di stagione, valorizzati con cotture rapide, spezie ed erbe spontanee. In più sono tanti gli chef che, anche sotto il segno della contemporaneità, dichiarano esplicitamente il legame con le ricette della nonna e con gli antichi libri di cucina tramandati da generazioni.
    Nonostante queste premesse (e forse anche perché devono confrontarsi con una tradizione “di strada” particolarmente eccellente) sono pochi i cuochi thai in grado di affacciarsi anche sui palcoscenici dell’alta cucina. Nazione ospite di questa decima edizione di Identità Golose, la Thailandia ha portato nell’auditorium milanese, nella giornata conclusiva di martedì 11, i suoi migliori interpreti.

    Chumpol Jangprai è il Gordon Ramsay del Far East: gestisce un piccolo impero tra Asia e Europa sotto l’insegna Blue Elephant, ha un’autorevole scuola di cucina, è una celebrity del piccolo schermo con diversi format di enorme successo, tra cui Golden Hand Chef e Iron Chef. L’ambasciatore migliore, insomma, per avvicinare la platea italiana ai contrasti e ai profumi della sua terra: oltre a una conoscenza unica di tutti gli ingredienti di un vocabolario gastronomico ricchissimo, il cuoco di Bangkok non disdegna contaminazioni tra Oriente e Occidente (in molti ancora si leccano i baffi per una monumentale versione di ossobuco al curry che preparò lo scorso anno in città). Sul palco esegue una croccante sinfonia dal cuore morbido: polpette di gamberi di mare (tradizionalmente sono quelli di fiume secchi) impastati con lardo e albume. La panatura viene realizzata con fiocchi di riso e una miscela piccante e speziata composta da aglio, radice di coriandolo e pepe bianco.
    In assenza della superstar Dave Thompson del Nahm del Metropolitan Como Hotel di Bangkok (l’insegna thai più celebrata al mondo: 36ma posizione della World’s 50 Best Restaurants e terzo posto della 50 Best Asia), ecco il suo sous chef Prin Polsuk, che apre una bella finestra sulle tradizioni culinarie del Nord della Thailandia – a dimostrazione che sono notevoli le differenze di tecnica e di ingredienti tra le diverse regioni del Paese – e in particolare della sua città natale Chiang Mai. È secondo lo stile della “città nuova” che prepara un raffinato relish di maiale (la parte grassa) con pomodoro e pasta di fagioli fermentata – una sorta di tributo, a suo dire, al nostro ragù – accompagnato da un curry vegetariano a base di aglio, galanga, scalogno, lemongrass e peperoncino Thai Dragon, il più piccante secondo la scala Scoville, pestato con grande impeto nel personale mortaio (ogni chef ha portato il suo personale: è questo lo strumento imprescindibile). Lo chef ha scelto di lavorare solo con ingredienti di giornata e così alle prime ore del mattino si è lanciato con coraggio (e senza una parola di italiano) in un mercato milanese per acquistare la zucca, il cavolo nero e i pomodori (un bel po’ diversi da quelli bianchi, piccoli e molto acidi, della Thailandia del Nord). La ricetta originale arriva direttamente dal cookbook della madre e conferma come dietro al progetto Nahm ci sia un grande lavoro di riscoperta della tradizione domestica.

    Curiosamente, alcuni dei migliori ambasciatori della cucina thai vengono da altri continenti: Henrik Yde è danese ma ha viaggiato più di quattro anni in ogni angolo della Thailandia per scoprire tutti i segreti degli ingredienti locali. Oggi è un’autorità in materia ed è proprietario e chef di 7 ristoranti a Copenhagen e uno a Bangkok. Il più celebre è il Kiin Kiin della capitale scandinava, una stella Michelin. Ha appena pubblicato il libro “Dead and Fermented” in collaborazione con il fotografo di Hong Kong Steven Achiam, una sorta di noir alla scoperta di tutte le declinazioni possibili di fermentazione, tecnica imprescindibile in molte preparazioni asiatiche.

    Ad infiammare però la platea (sia per la piccantezza dei piatti, sia per la simpatia) è stata la coppia del Bo.Lan di Bangkok. Lei è Bo Sangvisava, thailandese, lui Dylan Jones, australiano: i loro duetti culinari e verbali sono degni della miglior Nora Ephron (“in Thailandia un buon indicatore per conoscere le donne è osservarle mentre pestano nel mortaio: più lo fanno con vigore e impeto, più vuol dire che sono di attitudine gentile in tutto il resto”). Galeotto fu, nel loro primo incontro, proprio il Namh del concittadino Dave Thompson (di cui sopra) nella originaria location londinese. Nel 2009 tornano a Bangkok e decidono di dedicarsi a un progetto tutto loro: recuperano ricette da vecchi manoscritti e mettono l’accento sugli aspetti sostenibili e terapeutici della cucina, quelli vicini a Slow Food e più coerenti con il tema del 2014 di Identità Golose, che è appunto una “golosa intelligenza”. La loro lezione è un percorso di scoperta tra erbe e spezie sconosciute, salse di pesce e succo di Som Saa, con cui compongono un relish con olive nere, uova e verdure grigliate che è una sinfonia di profumi ed equilibrio tra amaro e dolce, tra acidità e astringenza. Tecnica raffinata, capacità rara di modulare note intense e purezza di sapori, attenzione alla stagionalità delle materie prime: su questi aspetti i due hanno trovato magnifici accordi – in particolare con il riso organico di gaba, ananas e gamberi filati e con il lombo di manzo, curry alla foglia di khii lek, mostarda verde e sgombro fritto – con i piatti di Luigi Taglienti del Trussardi alla Scala, chef che li ha ospitati la scorsa domenica per una cena a sei mani in cui si è celebrato l’incontro possibile, almeno in cucina, tra Italia e Thailandia.

    Articolo di Federico De Cesare Viola, food24.ilsole24ore.com
     
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