life makes echoes

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Member
    Posts
    17,121
    Likes
    0

    Status
    Offline
    -life makes echoes-
    «La vedi quella?» chiese Sebastian, gli occhi puntati al cielo,
    mentre indicava la stella più luminosa quella notte. «è tua».



    -genere: introspettivo, drammatico, giallo
    -bollino arancione
    -riassunto: Sebastian e Dylan crescono insieme nel quartiere di Fairpeace. Quasi come se fossero fratelli.
    Ma a 11 anni, Dylan è costretta a trasferirsi altrove e lei e Sebastian si promettono di restare amici per sempre. Puntualmente, i contatti si fanno radi, poi inesistenti.
    Anni dopo, Dylan e la sua famiglia tornano nel quartiere, che non è più lo stesso: tutto è cambiato. Tutto, tranne Sebastian...



    -capitolo 1: verità-
    Sebastian Bole aveva appena compiuto una settimana di vita, quando i vicini lo videro per la prima volta. I suoi genitori erano stati terrorizzati dal nuovo ruolo che ricoprivano nel mondo, tanto da non aver avuto il tempo di avvertire il quartiere di Fairpeace della nascita del loro primo figlio.
    John e Clarissa, infatti, non si aspettavano di mettere su famiglia così presto. Erano giovani, troppo per un figlio: lei aveva ventiquattro anni e lui ventisette. I soldi non abbondavano di certo e i due erano sposati da davvero poco tempo. Sì, Sebastian non era stato cercato. E i due ragazzi erano spaventatissimi all’idea di essere mamma e papà. Dal canto suo, lei aveva una famiglia con non pochi problemi alle spalle. John, invece, non era ancora maturo abbastanza per costruire una famiglia tutta sua. Amava ancora andare in discoteca e filtrare (ma non andava mai oltre) con qualche ragazza, perché diceva che quel genere di locale “gli faceva dimenticare di essere sposato, almeno per un po’”.
    Nonostante ciò, Sebastian era veramente amato.
    Il piccolo aveva due occhi grandi e blu, profondi come le acque dell’Oceano e in testa i pochi capelli che aveva erano del colore del grano. Qualche vicino aveva sostenuto che fosse un angioletto, nonostante non fosse a casa loro alle due di notte, quando Sebastian aveva fame e strillava a pieni polmoni la sua necessità fisica. Teneva i pugni perennemente chiusi, come ogni neonato del resto, e amava stringere con le manine minuscole la maglia di chi lo teneva in braccio, come se avesse paura del mondo e dovesse aggrapparsi a qualcuno che lo rassicurasse.
    Il via vai dei vicini non aveva certo giovato alla serenità del piccolo, visto che aveva ripreso a urlare più che mai. John e Clarissa, quindi, cercarono di mandare via tutti gli estranei il più gentilmente e rapidamente possibile.
    Gli O’Brian erano appena tornati a casa loro quando qualcun altro suonò il campanello di casa Bole.
    «Oddio, e ora chi sarà?» domandò Clarissa, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, continuando a cullare il piccolo in un gesto meccanico, tentando di farlo addormentare, più che d’affetto.
    Il marito John corse ad aprire la porta, sperando che ci fosse solamente da firmare per ritirare la posta. Non avrebbe sopportato, almeno per quel giorno, altre persone che gli avrebbero ricordato di essere padre e che avrebbero fatto complimenti melensi al piccolo e alla moglie.
    Purtroppo per lui, non c’era il postino ad attendere una firma.

    «Clarissa? Clarissa, tesoro, dove sei?». Una donna sulla cinquantina gridava sulla soglia di casa Bole. Aveva i capelli rossi, un vano tentativo di sembrare una quindicenne arrapata, e un seno visibilmente rifatto. Dietro di lei c’era un uomo, imbarazzato a morte per il suo comportamento.
    «Mamma?!». Impossibile non riconoscere quella voce.
    «Prego, entrate…». John non ce la faceva più. Era stressato e soprattutto stufo di dover accogliere ogni vicino curioso. “Ci mancavano solo i suoi stupidi e ricchi parenti”, pensò.
    «Sai, avresti proprio dovuto dirci del bambino. Lo abbiamo dovuto sapere dalla signora Lee, quella pettegola del cazzo…»
    «Susan!», la rimbeccò l’uomo visibilmente più anziano di lei. Aveva gli occhi contornati da tante piccole rughe, che gli conferivano un’aria dolce. Da nonno, insomma. «Non davanti al piccolo…».
    «Oh, a quest’età non ricordano nulla. Clarissa, avanti, fammi vedere il bambino»
    «Sebastian», specificò la giovane, lanciando occhiate disperate al marito, impotente di qualsiasi gesto.
    «Sebastian» ripeté, come per convincersi che tutto ciò stava accadendo davvero. « Mi piace. Spero che sia bello abbastanza da perdonarti il non avermi detto di essere nonna, altrimenti…».
    Susan prese il bambino tra le sue braccia, sperando di ricordare ancora come si facesse. Una volta assicuratasi che non sarebbe caduto, posò il suo amorevole sguardo da nonna sul piccolo. Ma ben presto il suo amore mutò in terrore: vedere il bambino per lei era stato come rivedere un vecchio demone che faceva ritorno nella sua vita. Stava per cadergli dalle mani, se non fosse stato per il pronto intervento di John. «Mio dio Clarissa», sussurrò.
    «Sei pazza? Che cazzo credevi di fare?!», sbottò John, inaspettatamente. Nemmeno lui riusciva a credere a ciò che aveva appena detto.
    Susan lo ignorò beatamente, ancora shockata per l’aspetto del piccolo «Clarissa, hai notato anche tu che assomiglia in maniera impressionante a… David?»
    «E chi cazzo sarebbe David, eh? Il tuo fottuto amante?». Il tono di voce di John si faceva sempre più alto. Non pensava neanche prima di parlare, talmente era adirato. Sebastian, tra le sue braccia, continuava ad urlare, come a voler coprire con le sue grida le frasi del padre.
    Clarissa non rispose, visibilmente turbata dall’accusa. Riprese il piccolo e lo sistemò sul suo seno, in modo da riuscire a calmarlo col suo profumo e con il battito regolare del suo cuore.
    «No. David è mio figlio. Suo fratello».
    «Non sapevo che avessi un fratello, piccola… comunque: che cazzo c’entra? È un buon motivo per gettare mio figlio a terra?»
    Contemporaneamente al marito, Clarissa pregò «Mamma, ti prego. Non dire nulla, d’accordo?»
    Susan sospirò. Clarissa e John erano giovani. E lui non sembrava esattamente entusiasta del matrimonio, del ruolo di marito fedele e padre modello che gli spettava. Era combattuta. Nonostante tutto, John meritava di sapere la verità. Ma pronunciarla significava ripescare un vecchio e terrificante ricordo, che tutta la famiglia aveva sempre tentato di nascondere. Il disonore era troppo.
    Alla fine si arrese. Era giusto che John conoscesse il terribile segreto che gravava loro sulle spalle. Dopotutto, ormai era uno di famiglia.
    Clarissa tentò di frenare la madre, ma era troppo tardi. Aveva deciso.
    In cuor suo sapeva che era la cosa migliore. Ma si vergognava troppo. No, non solo si vergognava: ne era profondamente disgustata. Era disgustata dalla visibile somiglianza di Sebastian al fratello David. Era disgustata perché questo l’aveva frenata dall’amare immediatamente e incondizionatamente suo figlio, sangue del suo sangue, cresciuto per nove mesi nel suo ventre…
    «John, è giusto che tu sappia». Susan fece un ultimo respiro profondo. Guardò sua figlia che annuì, guardò suo nipote, che aveva finalmente smesso di gridare e che stava aggrappato alla camicia di Clarissa.
    «David è un serial killer». Parlava di lui come se fosse ancora vivo. Sputò fuori le parole come se fossero il caffè più amaro e bollente che avesse mai bevuto in vita sua.
    Quelle parole… non appena le aveva pronunciate, se ne era pentita.
     
    Top
    .
0 replies since 29/8/2011, 17:41   71 views
  Share  
.
Top
Top