Spring Awakening

Broadway piece

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  1. Lizy.Luminos
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    Attenzione: gli argomenti trattati da questo musical non sono adatti ai minori di 14 anni!

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    Tutti ne parlano come del nuovo Rent. E a dire il vero in comune con il cult di Jonathan Larson ci sono una certa capacità di rottura degli schemi e una voglia di parlare di argomenti tabù. Visualizzate la scena: sentendo l’amica Martha che racconta come il padre la punisca con la cintura dei pantaloni, la giovane Wendla chiede al coetaneo Melchior di fustigarla con un bastoncino di legno: infatti nella sua vita non ha mai provato niente e vuole scoprire cosa significa provare qualcosa. Alquanto forte, no? Siamo infatti nella Germania del 1890, dove un gruppo di adolescenti affronta i dilemmi della pubertà nonostante scuola e famiglia, che impediscono loro di trovare risposte e di essere se stessi. Insoddisfatta delle solite storie di cavoli e cicogne, Wendla chiede alla madre come nascono i bambini, ma inutilmente; e così, quando si scopre incinta, viene accompagnata ad abortire clandestinamente senza neanche sapere cosa stia facendo; qui troverà la morte. Altrettanto drammatica la vicenda di Moritz, ossessionato dalla scoperta del sesso, detestato dai suoi professori, respinto dai suoi stessi genitori, incapaci di accettarne la bocciatura; l’unica strada per il ragazzo sarà il suicidio. Melchior, il vero ribelle del gruppo, considerato dagli adulti responsabile delle due morti, porterà avanti la sua esistenza in nome di tutti e tre, senza rifuggire da questo fardello ma anche con il compito di essere sempre sincero.
    Inutile dire che i giovanissimi interpreti di Broadway (alcuni anche tredicenni!) sono perfetti nel rappresentare questo mondo: Lea Michele è una Wendla da brivido, che mi ricorda vagamente una giovane Idina Menzel; John Gallagher, premiato con il Tony Award per questo ruolo, è un Moritz strano, dalla fisicità nervosa (e dai capelli assurdi!), veramente spaesato e fuori di testa, forse diverso da ciò che mi ero aspettato leggendo l’emozionantissimo libretto; molto energica anche l’interpretazione di Jesse Swenson (undestudy di Melchior). Tutti i ruoli adulti sono interpretati dalla stessa persona, un unico uomo e un’unica donna; Christine Estabrook riceve molti applausi per la macchietta della professoressa piena di tic e per le scomode parti di madri inespressive e incapaci di amare.
    Anche l’allestimento è crudo: nulla in scena, se non la band, un tappeto e poche sedie (un po’ come l’appartamento di Roger e Mark?); gli interpreti siedono ai lati del palco, "alla Chicago", in mezzo al pubblico (gli on stage seats sono a basso prezzo, ma difficili da trovare; sicuramente offrono una visuale intensa e nuova, ma molto di spalle). Come al solito, senza fanfare e senza effetti speciali, alcuni numeri emergono per potenza espressiva: Mama who bore me, con Wendla sola in scena che esplora il suo corpo; The bitch of living, dalla travolgente coreografia; la scena di sesso fra Wendla e Melchior (ma non vi aspettate Avenue Q!!), con l’emozionante coro di I believe.
    Fenomenale il disegno luci, anche grazie all’uso di neon che permettono veloci cambi di colore e situazione. E in effetti il sistema di illuminazione ha una funzione drammaturgica particolare. Le canzoni infatti non portano avanti l’azione, ma costituiscono dei momenti di riflessione intima dei personaggi. Forse questo nasce dalla formazione diversa, non proprio da teatro musicale, dell’autore Duncan Sheik. Qui si percepisce la differenza principale rispetto a Rent, dove si sentiva il forte legame di Larson sia con il rock sia con Sondheim e la tradizione di Broadway in genere. Le canzoni di Spring Awakening sono meno teatrali. O, per meglio dire, lo sono in maniera diversa. Sta di fatto che il creative team ha saputo dare un senso anche a questo: quando i ragazzi cantano, smettono di essere gli adolescenti in crisi del XIX secolo e diventano degli adolescenti di oggi, con tanto di microfono a gelato in mano, gestualità da rocker, e tanta voglia di esprimere quello che sentono e quello che sono. Attorno a loro la luce cambia, si ha un freeze in scena. Mi chiedo se questa impostazione sia un anti-musical, una negazione del musical; negli anni ho imparato che questa forma di teatro ha come unica caratteristica certa la molteplicità delle sue forme. Personalmente l’esperimento mi affascina e mi incuriosisce, mi spinge a confrontarmi con i confini espressivi del teatro musicale, mi fa capire che ci sono sempre nuove frontiere. Devo anche ammettere che la forte emozione che ho provato è passata stranamente più per la testa che per il cuore. Nonostante la indiscutibile perfezione di regia e interpreti, gli episodi più toccanti non hanno intaccato i miei condotti lacrimali come altre volte è successo: ma uno spettacolo come questo deve essere rivisto più volte per essere apprezzato a pieno in tutto ciò che ha da dire.

    Fonte: Enrico Zuddas
     
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0 replies since 22/6/2011, 11:59   37 views
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